Friday, March 09, 2007

Il gorgo

Questo è un racconto breve di Beppe Fenoglio (da "L'affare dell'anima e altri racconti", Einaudi 1978).

Nostro padre si decise per il gorgo, e in tutta la nostra grossa famiglia soltanto io lo capii, che avevo nove anni ed ero l'ultimo.
In quel tempo stavamo ancora tutti insieme, salvo Eugenio che era via a far la guerra d'Abissinia.
Quando nostra sorella penultima si ammala. Mandammo per il medico di Niella e alla seconda visita disse che non ce ne capiva niente: chiamammo il medico di Murazzano ed anche lui non le conosceva il male; venne quello di Feisoglio e tutt'e tre dissero che la malattia era al di sopra della loro scienza.
Deperivamo anche noi accanto a lei, e la sua febbre ci scaldava come un braciere, quando ci chinavamo su di lei per cercar di capire a che punto era. Fra quello che soffriva e le spese, nostra madre arrivò a comandarci di pregare il Signore che ce la portasse via; ma lei durava, solo più grossa un dito e lamentandosi sempre come un'agnella.
Come se non bastasse, si aggiunse il batticuore per Eugenio, dal quale non riceveveamo più posta. Tutte le mattine correvo in canonica a farmi dire dal parroco cosa c'era sulla prima pagina del giornale, e tornavo a casa a raccontare che erano in corso coi mori le più dure battaglie. Cominciammo a recitare il rosario anche per lui, tutte le sere, con la testa tra le mani.
Uno di quei giorni, nostro padre si leva da tavola e dice con la sua voce ordinaria: - Scendo fino al Belbo, a voltare quelle fascine che m'hanno preso la pioggia.
Non so come, ma io capii al volo che andava a finirsi nell'acqua, e mi atterrì, guardando in giro, vedere che nessun altro aveva avuto la mia ispirazione: nemmeno nostra madre fece il più piccolo gesto, seguitò a pulire il paiolo, e sì che conosceva il suo uomo come se fosse il primo dei suoi figli.
Eppure non diedi l'allarme, come se sapessi che lo avrei salvato solo se facessi tutto da me.
Gli uscii dietro che lui, pigliato il forcone, cominciava a scender dall'aia. Mi misi per il suo sentiero, ma mi staccava a solo camminare, e così dovetti buttarmi a una mezza corsa. Mi sentì, mi riconobbe dal perso del passo, ma non si voltò e mi disse di tornarmene a casa, con una voce rauca ma di scarso comando. Non gli ubbidii. Allora, venti passi più sotto, mi ripetè di tornarmene su, ma stavolta con la voce che metteva coi miei fratelli più grandi, quando si azzardavano a catraddirlo in qualcosa.
Mi spaventò, ma non mi fermai. Lui si lasciò raggiungere e quando mi sentì al suo fianco con una mano mi fece girare come una trottola e poi mi sparò un calcio dietro che mi sbattè tre passi su.
Mi rialzai e di nuovo dietro. Ma adesso ero più sicuro che ce l'avrei fatta ad impedirglielo, e mi venne da urlare verso casa, ma ne eravamo già troppo lontani. Avessi visto un uomo lì intorno, mi sarei lasciato andare a pregarlo: - Voi, per carità, parlate a mio padre. Ditegli qualcosa, - ma no vedevo una testa d'uomo, in tutta la conca.
Eravamo quasi in piano, dove si sentiva già chiara l'acqua di Belbo correre tra le canne. A questo punto lui si voltò, si scese il forcone sulla spalla e cominciò a mostrarmelo come si fa con le bestie feroci. Non posso dire che faccia avesse, perchè guardavo solo i denti del forcone che mi ballavano a tre dita dal petto, e sopratutto perchè non mi sentivo di alzargli gli occhi in faccia, per la vergogna di vederlo come nudo.
Ma arrivammo insieme alle nostre fascine. Il gorgo era subito lì, dietro un fitto di felci, e la sua acqua ferma sembrava la pelle di un serpente. Mio padre, la sua testa era protesa, i suoi occhi puntati al gorgo ed allora allargai il petto per urlare. In quell'attimo lui ficcò il forcone nella prima fascina. E le voltò tutte, ma con una lentezza infinita, come se sognasse. E quando l'ebbe voltate tutte, tirò un sospiro tale che si allungò d'un palmo. Poi si girò. Stavolta lo guardai, e gli vidi la faccia che aveva tutte le volte che rincasava da in festa con una sbronza fina.
Tornammo su, con lui che si sforzava di salire adagio per non perdermi d'un passo, e mi teneva sulla spalla la mano libera dal forcone ed ogni tanto mi grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo.

L'affare dell'anima e altri racconti

Ho letto "L'affare dell'anima e altru racconti" di Beppe Fenoglio. E' una collezione di racconti (pressochè tutti inediti fino al '78 circa), più un progetto di una sceneggiatura. I temi sono quelli della cultura contadina e partigiana tipici di Fenoglio, ma alcuni racconti sono di una limpidezza disarmante. Sto capendo che uno dei motivi per cui mi piace Fenoglio è perchè il suo raccontare è diretto, cristallino nel cogliere gli aspetti che contano nella vicenda. E questo si vede con particolare piacevolezza nei suoi racconti brevi (e se sono brevi tanto meglio, dato che sono pigro ed ultimamente non ho molto tempo libero per leggere...). A grandi linee i racconti sono così:
  • Nella valle di San Benedetto: un rastrellamento è in corso nella valle, e tre partigiani (Giorgio, Bob, ed il protagonista) cercano di non farsi prendere nella rete. Bob cerca un nascondiglio per conto suo; Giorgio chiude la tomba dove il protagonista ha deciso di nascondersi, in compagnia della maestra Girardi, morta nel '28, e poi saluta dicendo che girerà all'aria aperta. Dopodichè è il buio. Buio e pazzia. Le circostanze portano il protagonista in una sorte di purgatorio, in cui infine lui si lascia psicologicamente morire pur di fermare il delirio ("Forse il nostro corpo sente a volte pietà della nostra anima"). Quando riemerge dal buio, il protagonista trova una tragica sorpresa, "e oltre il cancelletto guardai là dove finisce la valle di San Benedetto". (questo finale echeggia la siepe oltre cui guarda Leopardi, a parte il fatto che questo è un cancelletto arruginito di un cimitero, e ciò che si vede non è l'infinito, ma la fine della valle...).
  • Alla Langa: Elia si trova a dover chiedere aiuto ai vicini di casa per la vedemmia, ma questi non vogliono consumare le loro forbiciette, e pretendono che ce le metta Elia. E dopo una pioggia che raffredda gli animi, lui grida quanto la scarna e sofferta esistenza sia fatta principalmente di quotidiane sofferenze.
  • Il gorgo: questo è in assoluto il mio preferito (se ho tempo me lo trascrivo). Il bimbo capisce che il padre sta per crollare di fronte alle avversità che flagellano una precaria sopravvivenza, e con un gesto semplice al limite della capicità umanana redime la situazione (pensa alle contorsioni e complicazioni dell'uomo rispetto alla linearità animale; pensa all'occhio lineare del bambino; il dettaglio finale del dito del padre è uno dei più belli che abbia mai letto).
  • L'esattore: dopo la morte della moglie, Adolfo Manera lascia l'osteria e diventa esattore. Tira su una fortuna economica, ma la sua situazione umana non migliora, anzi il paese e le persone con cui si trova a contatto gli stanno sempre più stretti.
  • L'affare dell'anima: Manera (praticamente di nuovo l'esattore), si guarda attorno: vede la sua roba e le disgrazie famigliari che ha passato. Ma stanotte capisce che questo affare è "dunque un affare da trattare attraverso i preti, inevitabilmente". E prima di addormentarsi decide di fare l'affare (nel senso di fè l'afè).
  • Tradotta a Roma: Johnny è accompagnato dal padre al treno che porterà il suo plotone (?) a Roma. Durante il viaggio si vedono esemplari umani ed il mare.
  • Lo scambio dei prigionieri: Matè racconta di quando è sceso a Marca a scambiare un fascista per Sceriffo. Trattano bene il prigioniero che ad ogni passo teme di venire ammazato, finchè non capiscono che lo scambio non sembra essere alla pari. "Erano gonfiati tutti e due, potevano specchiarsi l'uno nell'altro. Solo che il soldato era gonfiato di fresco e Sceriffo di ieri."
  • [Senza titolo]: Jimmy e Nick si incontrano al bar, anni dopo le avventure partigiane. Nick è tornato per andare a camminare fino al bivio per Manera, una camminata "per le colline che furono nostre". E lo prende un senso di fallimento.
  • [Materiale narrativo - Davide]: due fratelli Jose e Davide. Dopo la morte del padre, Davide, il maggiore, prende in mano le redini della azienda, e Jose lavora come un animale senza grosse soddisfazioni. Decide così di strapparsi alla terra e va a lavorare in città. Ma sogna di tornare e rivendicare la sua parte per viversela (o meglio viverci). Inconcluso.

Thursday, March 08, 2007

Lettere: 1940-1962

Ho letto "Lettere: 1940-1962", di Beppe Fenoglio. E' la raccolta delle lettere che ha inviato ad amici, famiglia, editori in questo periodo della sua vita. La maggior parte della raccolta è costituita dalle lettere scambiate con gli editori (Calvino, Vittorini presso Einaudi, e Mondadori): queste sono abbastanza interessanti, ma in molti casi sono proprio solo delle comunicazioni pratiche. Fanno però vedere con quanto impegno ed apprensione Beppe Fenoglio scrivesse e lavorasse ai suoi libri. (BTW, sembra che ci fosse veramente un onesta e reciproca stima tra lui e Calvino.)
Io ho trovato molto più interessanti quelle agli amici ed alla famiglia. Quelle agli amici rivelano un Beppe Fenoglio che sa scherzare e sorridere anche in tempi difficili. Forse è da qua che si può intravedere l'occhio lucido e lineare che sa raccontare le vicende partigiane e contadine senza girare intorno ai fatti, ma piuttosto andando diretto alle situazioni ed ai personaggi. Mi sembra di vedere che quando scrive storie cerca diretto il filo e lo racconta mettendo sempre un po' di cinismo su ciò che narra (no patetiche gonfiature e divergenze).
Commoventi le lettere degli ultimi giorni, in cui saluta i cari (non poteva parlare), e raccomanda cure per la sua bimba. Alcuni pezzi forti sono la sua scheda biografica e le richieste per il funerale.
  • Circa i dati biografici , è dettaglio che posso sbrigare in un baleno. Nato trent'anni fa ad Alba (1 marzo 1922) - studente (Ginnasio - Liceo, indi Università, ma naturalmente non mi sono laureato) soldato nel Regio e poi partigiano: oggi, purtroppo, uno dei procuratori di una nota ditta enologica. Credo che sia tutto qui. Ti basta, no? Mi chiedi una fotografia. Ora sono sette anni circa che non mi faccio fotografare" (lettera a I. Calvino)
  • "...funerale civile, di ultimo grado, domenicamattina, senza soste, fiori e discorsi." (al fratello)
  • "...trovata la linea verticale, l'orizzonte non conta più nulla." (a don Bussi)

Una crociera agli antipodi

Ho letto "Una crociera agli antipodi", di Beppe Fenoglio. E' una raccolta di racconti insoliti (rispetto alla tradizionale ambientazione langarola), che narrano di viaggi, personaggi curiosi ed a volte surreali.
  • Una crociera agli antipodi: "Bobby Snye" racconta di come si imbarcò sul Plymouth e di come Harry Bell (marinaio in procinto di ritirarsi) gli salvò la vita (probabilmente). L'anziano gli spiega anche come abbia scelto dove/perchè ritirarsi, e chiude il cerchio ricordando al giovane il vero motivo del suo imbarco.
  • La storia di Aloysius Butor: Aloysius Butor diventa presto orfano ed, apprendista presso lo zio armaiolo, s'invaghisce dei metalli e diventa buon spadaccino. Si impiega come mercenario, e scopre ben presto che il padrone paga male.
  • Il letterato Franz Lazslo Melas: Franz Lazslo Melas diventa famoso dopo una recensione che lo riguarda, e gioca a fare la celebrità locale. Riceve l'invito più importante della sua vita (per una festa a corte) e, tra surreali contrattazioni e dialoghi, finisce per condannare involontariamente a morte Hans. "L'infelicità dell'uomo è fatta di tante piccole innocenze del prossimo". E le innocenze non turbano nessuno.
  • La veridica storia della Grande Armada: re Filippo ordina la costruzione della Grande Armada, e decide di affidarla al più pio. Alonso Pérez de Guzmàn viene nominato grande ammiraglio, ma il giorno della scofitta il re capisce che questi non era pio abbastanza.