Saturday, March 06, 2010

Il mondo dei vinti -- Nuto Revelli

Ho appena finito di leggere "Il mondo dei vinti" di Nuto Revelli. Questo e' il primo libro che leggo dell'autore, e devo ammettere che mi e' piaciuto un sacco. Il libro presenta 85 testimonianze raccolte dall'autore negli anni 1970-72 tra persone (anziani a quel tempo) povere nella campagna cuneese. Come annunciato dal titolo, questo libro cerca di fornire un "resoconto" della storia (nel secolo che va approssimativamente dall'unita' d'Italia allo sbarco sulla Luna) vista e raccontanta dai poveri. Dalle persone che nelle pianure, colline, e montagne cuneesi sono stati dei "vinti", nel senso che hanno sempre subito gli eventi storici sulla loro testa, e le difficolta' e le miserie sulla loro pelle. Ogni testimonianza e' raccolta lasciando parlare piu' o meno a ruota libera ogni testimone, magari con solo una o due domande che l'autore pone ricorrentemente ("ci credevate alle masche?", "quanto contava il prete?", "ci crede all'uomo sulla Luna?"). Quello che ne viene fuori e' un quadro di quel secolo di storia completamente diverso da cio' che siamo stati abituati a studiare a scuola. Personalmente ho trovato questo quadro estremamente affascinante: ci si rende conto che quanto la percezione della storia provata dai "vinti" sia lontana dai libri di storia e dalla retorica, semplificata al minimo che molto spesso e' fatto di impressioni e fatti quotidiani. Semplificata e ridotta alla fame ed alla fatica, ai viaggi da emigranti ed alle sofferenze delle guerre, in generale al tentativo basilare di sopravvivere in un'inferno, no matter how, no matter where. Alcune volte in quest'inferno il dolore della carne marchiata a fuoco lascia delle impressioni che sono prettamente personali, ed i commentdi dei personaggi sono non cristallizzati o limitati da una visione (a volte forzatamente bigotta e miope) del(la) "vinto/a". Molto piu' spesso questi racconti sono tasselli che compongono un mosaico che e' testimonianza del fatto che queste vite sono state vissute in primo luogo subendo; rari sono i casi (per esempio la lotta partigiana) in cui i vinti hanno una partecipazione attiva (ed una presa di posizione, molto spesso parziale o minimale) in quelli che solitamente chiamiamo "i fatti storici". Se c'e' una frase che mi viene in mente leggendo questo libro e' quella dei CSI (da "Sogni e sintomi"):

"come un animale che non sa capire
guardo il mondo con occhio lineare
come un animale che sa cos'e' il dolore
guardo il mondo con occhio lineare
come un animale che non puo' capire
guardo il mondo con occhio lineare"

La prefazione (alle interviste) di Nuto Revelli e' molto interessante nel fornire un quadro complessivo del libro, ma io consiglierei di leggerla dopo le interviste (perlomeno questo e' cio' che ho fatto io). Su una nota strettamente personale: vedere il nome di mio nonno ("Eligio Gerbaudo, nato a Centallo, classe 1901, contadino") mi ha fatto provare una certa commozione (anche se la sua testimonianza non compare ne libro). In parte mi ha fatto capire il motivo per cui solitamente faccio il tifo per i vinti (o il disagio interiore che provo a tifare per i vincitori). O piu' egoisticamente il senso di colpa esistenziale che provo nel capire che oggi probabilmente io non sono piu' tra i vinti, e qualcun altro si trova in questa condizione.

Come al solito riporto qui di seguito alcuni dei passaggi che ho segnato a matita nel libro
(ma questa volta sono veramente troppi per segnarli tutti...).

"Li conosco i fascisti che mi hanno fucilato, alcuni li incontro per le strade di Cuneo. Quando li vedo li schivo. Una volta ho incontrato quello che guidava la moto-sidecar, e l'ho insultato. Mi voleva denunciare." (Bartolomeo Garro, pg. 66)

"Io nel 1930 non ho piu' preso la tessera, non mi piaceva essere comandato dagli altri. Eh, i contadini non capivano niente, non dicevano di no, stavano li' zitti." (Paolo Borgetto, contadino, pg. 130)

"Quattro giorni di viaggio, e poi arriviamo a Mauthausen. [...] Poi sono arrivati gli americani a liberarci. [...] Quando ero in montagna, da partigiano, pesavo ottantadue chili. Adesso ne pesavo ventisette, ero uno scheletro, solo pelle e ossa. [...] Ho cominciato a mangiare dieci volte al giorno, poco per volta, se no scoppiavo. Ero come un bamboccio, ero ebete. [...] Venivano gli amici a trovarmi, io li guardavo per ore e ore, in silenzio, senza parlare. Mi sono occorsi due anni perche' mi riprendessi un po'. Mah, non voglio piu' parlarne [...]" (Lorenzo Falco pg. 159)

"Compravamo solo trecce nel Veneto, i cavei del pentu non ci interessavano." (Daniele Mattalia, pg. 253)

"Per chi teneva la gente? In alto, sulle colline dell'alta Langa, tenevano per i partigiani. Qui la gente teneva alla pelle e basta: veniva il tedesco, gli davano quel che chiedeva; veniva il fascista, lo stesso; veniva il partigiano, lo stesso." (Pasquale Roggero, pg. 294)

"Io vivo con la pensione contadina [...]. Io non ho piu' paura di niente, io mangio, io vivo. E la mia idea non la cambio." (Angelo Fantino, pg. 305)

"Eh, 'n Merica se \"un l'\'e fol lu desfolu." (Maria Piemonte in Boeri, pg. 335)

"Eh, a chi deve combattere, al soldato semplice, la guerra non interessa. [...] Noi non ci interessava ammazzare gli austriaci, ma bisognava ammazzarli perche' se vengono avanti ammazzano te." (Giovanni Montanaro, pg. 340)

"L'atteggiamento del clero durante la guerra partigiana? Il clero ci ha subiti, proprio come ci ha subito il mondo contadino. [...] I preti non ci aiutavano [...] avevano una paura folle delle nostre armi. [...] I contadini ci hanno sfamati [...]. Dopo la Liberazione ho vissuto un anno drammatico perche' tutti mi giudicavano una di quelle, tutte le partigiane... erano puttane." (Tersilla Fenoglio Oppedisano pg.406)

"Eh, l'ambiente era difficile. Tutta la provincia di Cuneo era cosi', una provincia di gente chiusa, di individualisti. [...] Il vecchio dice [...] : I giovani dovevano restarsene nascosti in casa, in un buco, come ha fatto mio figlio. Ma que figlio si e' nascosto e si e' salvato proprio e soltanto perche' esistevano i partigiani. Mi spiace dirlo, ma la nostra gente di campagna non ha capito niente." (Carlo Altare, contadino, pg. 410)